Ci piacciono i giardini. E i semi che a quei giardini, se ci credi e ne hai cura, ti conducono.
Sono giardini di storie. Quelle che troviamo ogni venerdì pomeriggio, quando ci incontriamo per leggere, nei libri. Ma giardini di storie sono anche le nostre vite, i nostri singoli destini che ogni venerdì, alla stessa ora, noi affacciamo su un cerchio dove sta al centro, un tavolo dipinto alcuni anni fa da noi stessi. Su quel tavolo poggiamo i libri, le cioccolate in inverno, la coca cola d’estate anche a se a me non piace. Da quel cerchio, da quel confine tu puoi vedere il nostro giardino. E alzandoti dalla sedia, entrarci dentro. A turno innaffiamo le piante che ci crescono, sono alberi sempre più alti e ombrosi, e a turno facciamo gli umili lavori che servono al giardino e a noi stessi. Leggere ad alta voce è la linfa che scorre in questo giardino. Liberiamo dalle voliere, senza che quelli facciano più ritorno, storie autori personaggi luoghi che girano ormai insieme a noi in questa città in cui facciamo crescere, pianopiano, come è d’obbligo per l’albero, una fraternità cucita con libri d’avventura.


.
.
.

mercoledì 4 giugno 2014

WOW


Ieri pomeriggio è stato bellissimo. Il professore ci ha fatto trovare un posticino raccolto fra le teche dei legni fossili, i più antichi che stanno lì hanno un milione e mezzo di anni, e le pagine di pietra dove Dio ha conservato, come facciamo noi fra le pagine dei libri, foglie e rami di araucarie; sembrano disegnate.

...siamo a pagina 42.
Mentre Annarita leggeva, contenta di riprendere a percorrere con la voce una pista lasciata da qualcuno che l’ha aperta per se stesso, e per noi, in un mondo nuovo, si chiama Livelli di vita quel mondo, e poi dopo Giovanna; io vagavo con lo sguardo fra lo scheletro del dinosauro perfettamente ricostruito e la ricostruzione immaginaria, in cartapesta, che scende imponente dal soffitto, di una specie di delfino vissuto una decina di milioni di anni fa proprio dove adesso sto scrivendo io, a Castromediano; lo Zigofisoster, un nome così, sì lui stava al posto mio, al posto di me della scrivania del computer del muro che mi sta di fronte dove stanno appese delle fotografie vecchie di quattordici anni fa, pfu, ecchecosèquattrordiciannnifa. Là nel Museo ci sono reperti di 70 milioni, e ricostruzioni e racconti, ce li ha fatti il professor Genuario Belmonte in persona, un personaggio che sembra uscito da un libro di scienze dell’epoca di Darwin, con una capacità divulgativa meglio di Piero Angela tanto che ci veniva da dimenticare il motivo per cui eravamo lì. Ascoltare il professore surfare fra i milioni di anni, perché Annnarita ne aveva di domande da fare: ma è vero che i coralli; ma esistevano le zanzare all’epoca dei dinosauri; che cosa è quello, che il professore ci ha lanciati, con moltissima compostezza, nello spazio del tempo. Il Museo dell’ambiente è il Museo del Tempo; ma non sto dicendo un tempo così, sto dicendo 500 milioni di anni fa, quando la terra non era ancora colonizzata dalle piante e i coralli crescevano di 400 cerchi di carbonato di calcio al giorno perché la terra girava su se stessa velocissima, ci metteva 400 giorni per fare il giro annuale intorno al sole e aveva la luna assai più vicina, doveva essere bellissima, enorme vicina alla terra, a portata di mano, o di mare; mare che all'epoca aveva maree portentose. Poi le piante hanno dato inizio alla storia del pianeta; pianeta che il libro di Barnes, che racconta nelle prime 42 pagine le vite e i caratteri dei primi aeronauti, gente visionaria che ha messo in gioco se stessa per vedere il mondo dall’alto, gente che ha messo insieme per la prima volta cose che non hanno niente in comune fra loro, il libro dico, racconta anche di chi ha messo per primo il piede sulla luna, era il 1968, e dice che l’emozione più grande era non tanto stare lì, in quel mondo grigio e uniforme, ma vedere sorgere la Terra. Bellisima: azzurra e rossa e con i suoi sbuffi di nuvole intorno. Mentre si leggeva, a turno un po’, c’era anche Antonio, gli uccelli fuori dal museo chissà che si stavano comunicando. Facevano anche loro combriccola, per usare una parola cara a te, amica Valentina. In men che non si dica sono arrivate le 19 e siamo andati, usciti fuori da quella specie di stiva di nave antica, lì è tutto legno, a cui somiglia il Museo. E il sole di giugno ci ha tenuti stretti stretti, mentre Antonio si incantava nel campo antistante, a vedere un enorme, grandissimo cactus, come quelli che si vedono nei film dei cow boy, con molte file di cozze piccinne, di lumachine, bianche, a disegnare come tante perline in fila indiana, l’asse longitudinale della bellissima pianta. Certo che vederle vive le cose, è tutta un’altra cosa. Ci vediamo giovedì 12. Grazie professore! Grazie Giovanna, Annarita, Antonio, grazie uccellini; e grazie a me.

Nessun commento: