Ci piacciono i giardini. E i semi che a quei giardini, se ci credi e ne hai cura, ti conducono.
Sono giardini di storie. Quelle che troviamo ogni venerdì pomeriggio, quando ci incontriamo per leggere, nei libri. Ma giardini di storie sono anche le nostre vite, i nostri singoli destini che ogni venerdì, alla stessa ora, noi affacciamo su un cerchio dove sta al centro, un tavolo dipinto alcuni anni fa da noi stessi. Su quel tavolo poggiamo i libri, le cioccolate in inverno, la coca cola d’estate anche a se a me non piace. Da quel cerchio, da quel confine tu puoi vedere il nostro giardino. E alzandoti dalla sedia, entrarci dentro. A turno innaffiamo le piante che ci crescono, sono alberi sempre più alti e ombrosi, e a turno facciamo gli umili lavori che servono al giardino e a noi stessi. Leggere ad alta voce è la linfa che scorre in questo giardino. Liberiamo dalle voliere, senza che quelli facciano più ritorno, storie autori personaggi luoghi che girano ormai insieme a noi in questa città in cui facciamo crescere, pianopiano, come è d’obbligo per l’albero, una fraternità cucita con libri d’avventura.


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venerdì 5 dicembre 2008

voce del verbo pregare

ecco, abbiamo aperto la prima finestra sull'Avvento. Come quei calendari che si usano nei paesi del nord Europa e che dal primo dicembre cominciano a svelare ciò che si nasconde dietro 25 finestre che la mano va a svelare, giorno per giorno. Noi abbiamo tre sole finestre da aprire prima di Natale. Una l'abbiamo aperta ieri. Era una finestra strabica. Da dietro un'imposta si è vista Mosca, era ottobre del 2006 e noi abbiamo visto la bara, color rosso cuoio di Anna Politkovskaja, la giornalista uccisa a causa delle sue inchieste. Abbiamo visto la gente, tremila persone, sfilare davanti al suo corpo privato di qualcosa che ha terrorizzato i potenti della Russia: come si chiama quella cosa: istinto morale, coraggio, fedeltà a se stessa, al proprio paese, come si chiama? Si chiama ancora Anna. I particolari che lo scrittore ci ha fatto vedere, la giacca rosa per esempio che Anna indossa, pungono come la spina della rosa. Punge di più il mondo rimasto. La nipotina, o il nipotino ragione della disattenzione di Anna nel prendere le preacuzioni che si era abituata a prendere prima di scendere per strada per fare la spesa, avrà adesso un anno e mezzo. La stessa età di una bambina del Camerun, di cui sappiamo adesso, poichè lo abbiamo visto attraverso l'altro stipite della finestra aperta ieri, che avrà, arrivata all'età dello sviluppo una dura esistenza di donna: i suoi seni stirati con pietre roventi per imbruttirla, per renderla meno attraente agli sguardi degli uomini. Una pratica che investe il 50% delle donne. Leggere del Camerun, siamo stati a Yaoundè, ci ha stravolti. A Mosca la storia di una sola donna uccisa dal suo essere a servizio di un mestiere, a Yaoundè, dall'altra parte, milioni che patiscono qualcosa che per enormità e proporzioni è una condanna, una accusa a dio. Questa doppia scala numerica, nell'Occidente uno, in Africa, un milione, ci aspira dentro una cappa. Cosa possiamo fare noi, infliggerci da soli la consapevolezza e a che serve se il mondo non lo possiamo cambiare? Il verbo che usa Giampaolo Visetti nel sottotitolo del libro è un altro. E' dobbiamo. Storie del mondo che dobbiamo cambiare. Ci guardiamo intimoriti, schiacciati, bastonati, mentre a Valentina lancia, di là dove sta lei sta, una corda Etty Hillesum. Etty dice che non è il mondo che devi cambiare ma te stesso. Valentina ricorda la sensazione provata leggendo le pagine del Diario di Etty, mano mano che la Storia si stringe intorno a lei per annientarla, il libro si apre. Si apre l'orizzonte si apre la strada. Etty è l'unica voce che ci puntella e riporta senso in quello che stiamo facendo. Giovedì prossimo ci sarà anche il suo Diario. Anche Etty quando cominciò a scriverlo il 9 marzo del 1941 non sapeva come pregare.

Teresa per Rosalba, Massimo, Luca, Angela, Luca, Maurizio, Valentina, Cesare

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