Ci piacciono i giardini. E i semi che a quei giardini, se ci credi e ne hai cura, ti conducono.
Sono giardini di storie. Quelle che troviamo ogni venerdì pomeriggio, quando ci incontriamo per leggere, nei libri. Ma giardini di storie sono anche le nostre vite, i nostri singoli destini che ogni venerdì, alla stessa ora, noi affacciamo su un cerchio dove sta al centro, un tavolo dipinto alcuni anni fa da noi stessi. Su quel tavolo poggiamo i libri, le cioccolate in inverno, la coca cola d’estate anche a se a me non piace. Da quel cerchio, da quel confine tu puoi vedere il nostro giardino. E alzandoti dalla sedia, entrarci dentro. A turno innaffiamo le piante che ci crescono, sono alberi sempre più alti e ombrosi, e a turno facciamo gli umili lavori che servono al giardino e a noi stessi. Leggere ad alta voce è la linfa che scorre in questo giardino. Liberiamo dalle voliere, senza che quelli facciano più ritorno, storie autori personaggi luoghi che girano ormai insieme a noi in questa città in cui facciamo crescere, pianopiano, come è d’obbligo per l’albero, una fraternità cucita con libri d’avventura.


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venerdì 12 dicembre 2008

Valanghe: con una pallina di carta stagnola


La parola pace stringiamo fra le mani in questi giorni in cui cerchiamo un modo di pregare che ci faccia intendere del mondo qualcosa di più. Ieri, nel nostro piccolo cerchio di lettori si è seduta anche Etty. E quanto ci ha portato. Pensieri sulla morte che sta dentro la vita come la chiave di volta di un arco sta alla stabilità dell'arco; parole che si staccano dal campo di concentramento di Westerbork in Olanda, a poche decine di chilometri dal confine con la Germania: "lasciatemi essere il cuore pensante della baracca", lei appunta sul suo diario. Un campo di concentramento attraversato da una quantità di conflitti all'interno della comunità ebraica divisa fra ebrei tedeschi ed ebrei olandesi. Mai avevamo avuto occasione di riflettere su questi aspetti poco visibili della vita dentro il campo. E' stato il libro di Nadia Neri dedicato alla vita di Etty, Un'estrema compassione, pubblicato nel 1991 da Bruno Mondadori, che ce ne ha dato l'occasione. Nel campo il martedì, i tedeschi pubblicavano le liste delle persone in partenza nei convogli e da quel momento cominciava una intensa attività displomatica per rimandare la partenza, per veder sostituito il proprio nome con quello di un altro. L'istinto di sopravvivenza aveva trasformato una comunità nei primi carnefici degli altri. Etty non si presta per se stessa a questo gioco. Lei ritiene che la salvezza non si possa guadagnare in questo modo. La salvezza la trova invece in un appassionato atteggiamento di assunzione di responsabiità. Il male non lo cerca fuori di lei ma lo osserva senza sosta nel suo intimo e lì lo aspetta al varco. Siamo stati anche a Vorkuta, in Siberia, oltre il Circolo Polare Artico, una città mineraria che ospitò dal 1921 al 53 un gulag, un lager per i russi che osarono mostrarsi scettici e dissentire dalla società comunista: furono 30 milioni i morti, un genocio degli spiriti critici e liberali; un genocidio dell'arte e della cultura che tutta la società russa sta pagando in termini di conflitto sociale in questi anni dopo il crollo del muro di Berlino. Una società quella russa che sembra non avere in sè, poichè li ha sterminati, gli elementi critici culturali sociali scientifici per fronteggiare la rivoluzione negli stili di vita esportata dall'Occidente.
Le guerre attuali sono diverse da quelle del diciannovesimo secolo. Il Novecento ha dato inizio alla violenza che assume i caratteri di uno sterminio: l'annullamento radicale dell'altro. Le guerre adesso non mirano al dominio del forte sul debole, sul diverso per ceto per cultura per religione per sesso, ma al suo annientamento.
Un annientamento che assume varie forme. Vorkuta per esempio, città di spettri scrive Visetti, è abitata da 70.000 anime impoverite, gente che un esodo pilotato dal governo ha portato lì a vivere in condizioni estreme. Meno 40 gradi per oltre metà dell'anno, un solo volo aereo alla settimana e due corse di corriera la collegano al mondo. In realtà solo apparentemente questa gente è libera di andar via di lì. Hanno firmato un contratto che li costringe a oltre trent'anni di residenza, e di lavoro in miniera, prima di potersene andare. Siamo nella Russia del 2006, a quella data si riferisce l'inchiesta del giornalista. Spezziamo il pane della conoscenza fra noi. Siamo pochi intorno al nostro tavolo: basso, fucsia e arancio e verde scuro a motivi geometrici, dipinto in uno dei laboratori di riabilitazione del Centro Diurno dove ogni giovedì pomeriggio ci incontriamo a leggere. Spezziamo il pane di questo dolore che pare intridere tutto, e ogni cosa. Lo spirito dell'uomo trova però uno spazio dentro di sè per essere. Andrea fa palline con la carta stagnola dei gianduiotti che ci siamo portati per una immediata consolazione dai dolori del mondo. Ne raccolgo una prima di tornare a casa e la interrogo. Mi sembra l'inizio di una nuova storia. Una piccola palla che dalla sommità di una montagna di neve si appresta a diventare valanga. Solo che noi con una parola, e solo con quella, intendiamo dare inizio a una catastrofe. Pace è quella parola temeraria.

Teresa e Luca (due volte), Andrea, Valentina, Massimo, Rosalba Maurizio e....Etty

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