Ci piacciono i giardini. E i semi che a quei giardini, se ci credi e ne hai cura, ti conducono.
Sono giardini di storie. Quelle che troviamo ogni venerdì pomeriggio, quando ci incontriamo per leggere, nei libri. Ma giardini di storie sono anche le nostre vite, i nostri singoli destini che ogni venerdì, alla stessa ora, noi affacciamo su un cerchio dove sta al centro, un tavolo dipinto alcuni anni fa da noi stessi. Su quel tavolo poggiamo i libri, le cioccolate in inverno, la coca cola d’estate anche a se a me non piace. Da quel cerchio, da quel confine tu puoi vedere il nostro giardino. E alzandoti dalla sedia, entrarci dentro. A turno innaffiamo le piante che ci crescono, sono alberi sempre più alti e ombrosi, e a turno facciamo gli umili lavori che servono al giardino e a noi stessi. Leggere ad alta voce è la linfa che scorre in questo giardino. Liberiamo dalle voliere, senza che quelli facciano più ritorno, storie autori personaggi luoghi che girano ormai insieme a noi in questa città in cui facciamo crescere, pianopiano, come è d’obbligo per l’albero, una fraternità cucita con libri d’avventura.


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venerdì 19 dicembre 2008

cento passi in più

Ancora una volta ieri siamo stati inghiottiti dentro una strana scala, in un dismetrico sistema di misura. Abbiamo visto i tre campi profughi del Darfur nel Sud del Sudan, tre milioni di persone, di cui il 70 % è composto di bambini, siamo entrati a poco a poco a comprendere il conflitto che lacera questa nazione grande come l'Europa in un'area grande quanto la Francia. Almeno dodici le tribù che si disputano quote di territorio. Un potere che significa anmministrare i flussi di soldi provenienti dalla vendita di petrolio a quella nazione/continente che è la Cina. Due gli articoli che abbiamo letto dal libro di Visetti, si riferivano a una analisi e un viaggio fatti dal giornalista fra settembre e ottobre del 2007. Siamo stati di qua del fiume, un nome complicato, che delimita la regione del Darfur. Le cifre ci vengono addosso, della morte del degrado dell'immenso abbandono, come uno tsunami, l'onda improvvisa che sommerge quello rimasto sì, i superstiti. I soccoritori. Noi. Ci commoviamo e avvertiamo un sentimento che somiglia al sollievo quando l'autore cita Emergency, l'ospedale costruito da Gino Strada a Khartoum. Come ti immagini tu un presidio contro la barbarie dentro il territorio della barbarie? Me lo chiedo e so che non lo posso pensare circondato da filo spinato circondato da uomini armati. Quelle persone non si possono proteggere hanno fatto una scelta a monte. Non la scrivo non la metto nero su bianco per rispetto a loro. Un rispetto che ci ha naturalmente mossi ad agire, prendere un salvadanaio, aprire un corridoio verso di loro, laggiù, nella metropli di stracci e cartoni lunga quaranta chilometri dove operano. Qui nessuno invecchia scrive Visetti. E invece, la storia di un accudimento a una donna morta a cento anni, abbiamo raccolto ieri sera dalla voce di Donatella Franchi. Questa donna si chiamava Clotilde, la mamma di Donatella. Per accudirla senza farsi inghiottire, dalla bulimia di affetto di attenzioni di preoccupazioni che una persona anziana spesso chiede e riversa senza misura più sul figlio, Donatella ha costruito un gioco. A Clotilde ha chiesto di trascrivere su dei fogli leggeri, leggeri come ombra di bambino che corre, le poesie amate di più. E così centinaia di foglietti si sono riempiti di una minuscola scrittura che pare un elettrocardiogramma: quello di una relazione primaria, quello fra madre e figlia. Viatico si chiama questo tempo condiviso di esperienza di emozione di gioco fra madre e figlia. Un tappeto di fogli sparsi di scrittura e una paio di scarpette, poggiate di lato. Quella la via che dobbiamo percorrere per tornare indietro o andare incontro, avanti, a noi stessi. E' un tapis roulant. Tu stai fermo e quelle parole, quel giacimento di immagini visioni potenti artigli sull'invisibile a partire da qui, ti fanno correre a perdifiato. Fino al 13 aprile del 1938, anno in cui a Clotilde, giovane e bellissima, fu scattata una foto mentre leggeva seduta di fianco a una finestra, foto che Donatella le ha rifatto in posa analoga, il 13 aprile del 2008. Stanno affacciate le due immagini, una contro l'altra, come in uno specchio del tempo. E in quell'intercapedine resti presa. Incantata dalle mani che dolcemente tengono il libro poggiato in grembo. Un abbandono, una resa, un piacere solitario che un pensiero creativo fa invece diventare momento di appartenenza condivisione storia comune. Futuro. Ecco come i cento anni di Clotilde sono diventati cento passi. Siamo cento passi più vicini alla vita e alle storie di questo mondo di quanto eravamo, tre settimane fa.
Cento passi più vicini a quella grotta laggiù laggiù laggiù, in Palestina.
Teresa per Valentina Rosalba Paola Mariella, Massimo Luca Cesare Maurizio e Claudio

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