Ci piacciono i giardini. E i semi che a quei giardini, se ci credi e ne hai cura, ti conducono.
Sono giardini di storie. Quelle che troviamo ogni venerdì pomeriggio, quando ci incontriamo per leggere, nei libri. Ma giardini di storie sono anche le nostre vite, i nostri singoli destini che ogni venerdì, alla stessa ora, noi affacciamo su un cerchio dove sta al centro, un tavolo dipinto alcuni anni fa da noi stessi. Su quel tavolo poggiamo i libri, le cioccolate in inverno, la coca cola d’estate anche a se a me non piace. Da quel cerchio, da quel confine tu puoi vedere il nostro giardino. E alzandoti dalla sedia, entrarci dentro. A turno innaffiamo le piante che ci crescono, sono alberi sempre più alti e ombrosi, e a turno facciamo gli umili lavori che servono al giardino e a noi stessi. Leggere ad alta voce è la linfa che scorre in questo giardino. Liberiamo dalle voliere, senza che quelli facciano più ritorno, storie autori personaggi luoghi che girano ormai insieme a noi in questa città in cui facciamo crescere, pianopiano, come è d’obbligo per l’albero, una fraternità cucita con libri d’avventura.


.
.
.

domenica 10 febbraio 2008

...ancora Etty...

Ci provo. È stata Teresa a chiedermi di scrivere di questo. Non posso che provarci, ora, in un momento in cui ha ancora senso farlo. Sto leggendo il diario di Etty Hillesum e… come Vittoria, vorrei ‘tenerlo’ con me più a lungo possibile, dilatare il tempo, allungare il piacere della lettura… ma d’altro canto quando ci entro dentro non posso chiuderlo se non arriva la stanchezza a minacciare l’attenzione. Etty è incredibile per me. Questa esperienza della sua conoscenza mi sconvolge non poco. Per due ragioni.
La prima è che Etty non ha scritto quelle parole che per se stessa. Quindi noi, lettori contemporanei, tocchiamo un materiale che non ci era destinato. Siamo testimoni dell’intimissimo e quotidiano ‘elettrocardiogramma’ spirituale di una giovane donna dalla bellezza interiore sconvolgente, ma siamo anche un po’ di troppo in questo, è come se stessimo sbirciando nel cassetto della sua cara scrivania. Sì certo Etty ha scelto di proteggere i suoi scritti da quello che le stava per accadere, ha deciso che le sopravvivessero ed è solo per questo che sono giunti a noi. Ed è solo per questo che oggi possiamo leggerli. In una certa misura Etty ci ha dato il permesso. Ma resta addosso quella sensazione di intrusione perché nella sua scrittura non esiste il lettore. È la sua vita stessa. La scrittura del diario è così. Lei neanche la riconosce come ‘opera’. Viene ancora prima, è strumento chiarificatore, pratica che accompagna l’evoluzione nel suo animo, è il tempo delle sue giornate in cui lei si ritrova con se stessa, oltre alla preghiera che pian piano impara a fare. La scrittura, quella vera, ha da venire. Lei la sente molto ma non è ancora il tempo. Purtroppo quel tempo non arriverà mai e questi diari, insieme alle lettere che ha scritto ai suoi cari, sono tutto ciò che possiamo leggere di lei.

Desidero, e insieme temo, quel momento della mia vita in cui mi troverò sola con me stessa e con un pezzo di carta, e non farò altro che scrivere. Non oso ancora, non so perché. (…) Questo render conto di se stessi; questo sentir continuamente il bisogno di scrivere, e non osare ancora di uscire allo scoperto. Credo che anche in generale io tenda a rimuovere troppe cose da me stessa. (…) Da qualche parte in me ci sono una malinconia, una tenerezza e anche un po’ di saggezza che cercano una forma. A volte mi passano dentro dialoghi, immagini e figure, atmosfere. Questo improvviso affiorare di qualcosa che dovrà diventare la mia verità. (…) C’è ancora una falsa timidezza che m’impedisce di confessarlo. La ragazza che non sapeva inginocchiarsi e che pure lo aveva imparato, sul ruvido tappeto di cocco di una disordinata camera da bagno. Ma sono faccende intime, quasi più intime di quelle del sesso. Vorrei poter rappresentare in tutte le sue sfumature questo processo interiore, la storia della ragazza che aveva imparato ad inginocchiarsi.
La seconda ragione è che mi pare, spessissimo, di leggere un mio scritto di tanto tanto tempo fa. I moti della sua scrittura sono i miei, le sue indagini in se stessa e con se stessa vanno alla ricerca di quello che anche io ho cercato e cerco, la forma, gli intercalare, l’assenza di lettore, il linguaggio… mi sconvolgono. Non è banale identificazione. È profondo stupore. E lo è ancora di più, oppure a quel punto non lo è più affatto, quando mi ritrovo a leggere pezzetti della sua biografia assolutamente sovrapponibili alla mia. Ho trovato un alter ego che ha vissuto nella prima metà del secolo scorso.
E poi la sintesi assoluta di qualunque ricerca che finisce nel trovare il silenzio come unica soluzione.

A volte mi sembra che ogni parola che vien detta, e ogni gesto che vien fatto, accrescano il grande equivoco. Allora vorrei sprofondarmi in un gran silenzio e vorrei anche imporre questo silenzio agli altri. Sì, a volte qualunque parola accresce i malintesi su questa terra troppo loquace.

Due settimane fa, per la giornata della memoria, abbiamo voluto dedicare lo spazio del pensiero e della riflessione ad Etty. Abbiamo accolto Vittoria Facchini con la sua profonda ‘traduzione’ estetica e simbolica del diario di Etty negli spazi del Fondo Verri.
Quattro giorni ho trascorso ‘dentro’ questo suo lavoro. Ho visto costruirsi l’idea in me del lavoro di Vittoria quando settimane prima Teresa ha cercato di descrivermelo, quando poi Vittoria mi ha fatto l’elenco delle ‘cose’ che le servivano per allestirlo, quando insieme ci siamo messe alla ricerca di duecentocinquanta bottiglie bianche, altrettanti sassi levigati, e poi matite e pacchi di sale e di blu oltremare e temperamatite e imbuti e laccetti di cotone colorato… Ho visto costruirsi l’immagine dell’allestimento tra le mani mie di Vittoria di Paola di Mary di Rosalba di Luca di Fernando di Annarita di Mauro di Piero di Giuseppe di… chi altro quanti altri non so più – sicuramente sto tralasciando qualcuno – la cui energia però è rimasta impigliata tra una cosa e l’altra e poi, infine ma non alla fine, ho visto Etty raggiungerci, tutti noi insieme a tutte tutte le persone che sono venute a trovarci nelle tre giornate di apertura al pubblico dell’istallazione di Vittoria.
Mano a mano che le ore trascorrevano e che gli oggetti venivano trasformati dalle energie entrate in campo, mano a mano che le bottiglie venivano ‘scelte’ e aperte, mano a mano che i sassi venivano ‘segnati’ dalle matite e dalle calligrafie e venivano così riempiti di significato, mano a mano che le parole di Etty senza ordine né progressione venivano attraversate dalle voci di tutti noi insieme, mano a mano che in quelle parole ogni persona trovava un senso da ricondurre alla sua esistenza in quel momento, mano a mano che tutto questo veniva vissuto ed il cuscino con il diario di Vittoria sopra guardato silenziosamente e ‘contemplato’… mano a mano che le ore trascorrevano così… Etty ha progressivamente preso parte attiva e viva in quel nostro spazio e in quel nostro tempo.
È stata una sensazione fortissima. Sembrava di esser lì a vegliare con lei, per lei e per tutte le vittime dell’olocausto.
Le fotografie, ed il silenzio che contengono, sono piene di questo clima e di questa energia. Le ho scattate nell’ultima ora prima di chiudere le tre giornate. In realtà ho scattato istantanee in tutti e tre i giorni ma c’è qualcosa che rendeva ogni momento diverso da quello precedente. Così le ultime foto sono sicuramente le più dense di significato, di valore e di senso. Le ultime ritraggono sicuramente anche Etty.

Valentina

Nessun commento: