Ci piacciono i giardini. E i semi che a quei giardini, se ci credi e ne hai cura, ti conducono.
Sono giardini di storie. Quelle che troviamo ogni venerdì pomeriggio, quando ci incontriamo per leggere, nei libri. Ma giardini di storie sono anche le nostre vite, i nostri singoli destini che ogni venerdì, alla stessa ora, noi affacciamo su un cerchio dove sta al centro, un tavolo dipinto alcuni anni fa da noi stessi. Su quel tavolo poggiamo i libri, le cioccolate in inverno, la coca cola d’estate anche a se a me non piace. Da quel cerchio, da quel confine tu puoi vedere il nostro giardino. E alzandoti dalla sedia, entrarci dentro. A turno innaffiamo le piante che ci crescono, sono alberi sempre più alti e ombrosi, e a turno facciamo gli umili lavori che servono al giardino e a noi stessi. Leggere ad alta voce è la linfa che scorre in questo giardino. Liberiamo dalle voliere, senza che quelli facciano più ritorno, storie autori personaggi luoghi che girano ormai insieme a noi in questa città in cui facciamo crescere, pianopiano, come è d’obbligo per l’albero, una fraternità cucita con libri d’avventura.


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martedì 27 maggio 2014

alcuni indizi fino a me

Di lui so che è un importante scrittore inglese e che ritagliai un articolo trovato sulla Stampa la primavera scorsa che ho tenuto per mesi appeso sulle piastrelle bianche a motivi geometrici ocra scelte da mio fratello Pino per la sua cucina, insieme ad altri ritagli; come un giornale di stracci, un giornale verticale; come l’esposizione di un tesoro. Nell’articolo si faceva cenno all’uscita dell’ultimo libro di Julian Barnes, quello dedicato a opporsi alle ragioni di un distacco, quello dalla sua compagna morta di tumore. Di lui so che il libro si chiama Livelli di vita, che l’ha pubblicato Einaudi nel 2013 e che è stato acquistato dalla Biblioteca provinciale di Lecce e che tre mesi fa non era disponibile al prestito perché già a casa di qualcuno. Di lui so una fotografia, sempre nell’articolo, in cui sta in posa davanti alla macchina insieme a una donna dalla faccia rotonda, una gran chioma di capelli crespi, è simpatica. Sorridono; i loro corpi si appoggiano, si tengono sottobraccio. Li ricordo sotto un ombrello. Una forte complicità è la parola chiave che mi porto dietro dal momento in cui ho appeso l’articolo sulle piastrelle della cucina di Pino. E’ in attesa di essere letto, è un libro forte e triste, è arrabbiato e non vuole conciliare con serafiche considerazioni sulla fine dei legami, racconta una storia d’amore dalla parte di chi è rimasto sulla terra. Racconta un’alchimia i cui ingredienti si danno una sola volta probabilmente; e non sempre e non per tutti. L’amore non è democratico. E’ arrivato il momento di leggerlo, e ad alta voce per chiunque voglia ascoltare, nel luogo agli antipodi di una storia così: il Museo dell’Ambiente di Lecce; all’Ecotekne; fra testimonianze fossili che ci arrivano da settanta milioni di anni fa: le più vecchie pagine dell’Universo, alcune foglie di araucarie cresciute sotto un sole che ci sembra nasca ogni giorno apposta per noi perché facciamo l’errore di sempre, quello metterci al centro del mondo. Noi, che quando va bene, riusciamo a essere a malapena strumento. Ma non lo leggo io; io non leggo un libro che somiglia a un romanzo da più di due anni. Cerco piuttosto un lettore disposto a impegnarsi per quattro appuntamenti una volta la settimana per due ore ogni volta e soprattutto a venire laggiù, presso il museo. Eh ma quante ne voglio! Una storia da minatori dell’amore, in un posto così scomodo e cerco pure un lettore! Gli incontri si svolgono a giugno, martedì 3 dalle 17 alle 19 e poi giovedì 12, 19 e 26, allo stesso orario. Saremo puntuali, io e Giovanna di sicuro ci saremo, e chiunque voglia invece ritagliarsi il ruolo, difficilissimo, di puro ascoltatore, che sennò non riusciamo a leggere tutto il libro. Puoi mandare la tua candidatura per il ruolo di lettore fino a lunedì 2 giugno a: germinazioni@libero.it. Per quello di ascoltatore, invece, vieni puntuale al museo. Cosa si vince? Perché; o meglio, cosa si guadagna? Proprio niente. O meglio, pagine strappate da una cava di Surbo al libro della Terra e poi andare con un sommergibile, uno scafandro di parole, a una profondità oceanica là dove vivono quei pesci dagli occhi enormi perché non c’è nemmeno un filo di luce. Almeno così sembra. Teresa

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