Ci piacciono i giardini. E i semi che a quei giardini, se ci credi e ne hai cura, ti conducono.
Sono giardini di storie. Quelle che troviamo ogni venerdì pomeriggio, quando ci incontriamo per leggere, nei libri. Ma giardini di storie sono anche le nostre vite, i nostri singoli destini che ogni venerdì, alla stessa ora, noi affacciamo su un cerchio dove sta al centro, un tavolo dipinto alcuni anni fa da noi stessi. Su quel tavolo poggiamo i libri, le cioccolate in inverno, la coca cola d’estate anche a se a me non piace. Da quel cerchio, da quel confine tu puoi vedere il nostro giardino. E alzandoti dalla sedia, entrarci dentro. A turno innaffiamo le piante che ci crescono, sono alberi sempre più alti e ombrosi, e a turno facciamo gli umili lavori che servono al giardino e a noi stessi. Leggere ad alta voce è la linfa che scorre in questo giardino. Liberiamo dalle voliere, senza che quelli facciano più ritorno, storie autori personaggi luoghi che girano ormai insieme a noi in questa città in cui facciamo crescere, pianopiano, come è d’obbligo per l’albero, una fraternità cucita con libri d’avventura.


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sabato 24 dicembre 2011

che cos'è

E’ un cassetto, uno di quelli che aprivo di nascosto, assai furtivamente, dalla alta e stretta cassettiera che mia madre teneva in camera da letto. Aprivo quei cassetti per perdermi fra i pizzi delle sue sottane fra gli odori delle saponette per aprire quel libro meraviglioso, indimenticabile, chissà chi lo possiede adesso, dalla copertina di madreperla: tante tessere quadrate lavorate una per una che chiudevano quel libro di preghiere antichissimo dove aveva sostato la mia bisnonna, Laura Contegiacomo; il dorso delle pagine era dorato, d’un oro scuro, e una fibbia in argento chiudeva quello scrigno prezioso di parole. Un baule di parole sacre, ma anche un baule di voci. Da lì a ben ascoltare si levavano ancora in bisbiglio, in monotona cantilena, le voci delle mie avi che qualche chicco di parola ancora, la mia voce stessa, conserva. Come un grumo che non si scioglie perché ha fuori una corazza di pance di donne, tutte scomparse. Tranne, nella linea della mia famiglia, io e Rosanna.


E’ uno spazio pieno di silenzio, nonostante le decine di personaggi che vivono la loro vita per anni e anni. Io ci entro e per prima cosa faccio un bel respiro. Inalo silenzio silenzio silenzio fin nella punta dei piedi. Mentre la storia si svolge tumultuosa, sinuosa, ripida e poi, squarcia l’ascolto con una immagine che mi resta molti minuti fissata sulla retina. E’ uno spazio grandissimo, il più grande che io conosco e che ho mai conosciuto; eppure non mi ci sono persa mai, nemmeno una volta, forse una. In tantissimi anni dacchè lo abito, ne avevo sette la prima volta e oggi cinquantuno. E' stato una volta quando ho avuto paura a seguire quella storia. Non mi sono fidata, proprio alla fine me ne sono andata da una porta di servizio che quello spazio di perfetto silenzio, di medicamentoso silenzio, ha sempre a vista.

E’ una gonna anche. Di quelle che piacciono a me da quando ero piccola. Di quelle grandi che quando giri su te stessa quella si apre come un fungo un paracadute la corolla di un fiore che sboccia all’improvviso: colorato e felice su uno stelo di gambe che per sostenere il movimento, l’erranza alla ricerca del cibo, devono essere due. Che una gamba sola ce l’ha chi aspetta il cibo stando fermo: il fiore, l’albero. Tutto il resto ha trovato modo di camminare, compreso il sole. E’ una gonna che si apre a ventaglio ogni sera per farmi ruotare, per ospitare il mio sguardo, per dare un senso e un compito, ma anche una carezza alle mie mani. Carezza, da quel corpo che ha un odore tutto suo.

E’ un odore: di fieno di paglia di stanza chiusa. Un odore di giacca anche se dentro ci sono persone nude.

E’ un gradino. Non sono mai stata più uguale a prima, dopo. E’ che devo aver capito qualcosa che mi ha cambiato le cose che avevo capito prima. Questa volta che non posso tornare indietro. Che quello che non ho fatto è andato perduto, sta nella città di ciò che abbiamo perduto, una metropoli immensa che se ci vai da visitatore stai sicuro che non torni più perché ti perdi nelle strade del rimpianto che sono tutte cieche. Questa volta che, se nutro in me la certezza che mi è rimasto poco tempo, perdo pure quello.

E’ una bandiera allora, anche. Da issare alta alta sul punto più alto di te, è l'indice di una mano levata al cielo, mentre mi sforzo di non cadere che sto sulle punte.
La pianto adesso al centro del mio cuore insieme a tutte le altre, sono decine, che in tutti questi anni ho portato indietro da tutti i territori del silenzio in cui sono andata. Con la pazienza di una formica con la passione di una innamorata con la sorpresa di chi guarda dallo stesso angolo da cui ha guardato un altro, centosessantuno anni fa.

E’ la storia di una amicizia alla fine. Con qualcuno che te ne fa dono. Manco mi sa, manco mi conosce; mai mi saprà, mi conoscerà. Dici?
Quello si sbilancia tantissimo verso di me di te di noi, si fa vedere in controluce o in pieno sole o sotto la pioggia o nell’abbandono del desiderio, si mostra indossando un vestito preso in prestito ma sotto c’è il suo corpo. Trasfigurato completamente metamorfizzato. Perché lo fai? Io dico per raccogliere tutta quella pena tutto quel desiderio e quella paura e quegli abissi e farli diventare farfalle.

E’ una voliera.
Un giardino di farfalle. Adesso ce ne sono in giro per casa 1022. Compreso l’indice dei capitoli e le due prefazioni.
Una te la mando per l’anno che verrà. Lasciala volteggiare.


teresa ciulli, è un libro, Natale del 2011.
a mia madre, a Giuseppina, che mi regalò il primo libro nell'inverno del 1968, a Bari.



2 commenti:

simoff ha detto...

cara teresa, ti leggo, non sempre capisco...ma sempre "sento" e volano dentro il mio cuore tante meravigliose farfalle... hai un grande dono...
se pubblichi un libro...o parole vorrei poterle avere sempre vicino a me.sono meglio di una medicina...Grazie. simonetta

milvia distasi ha detto...

E' bello leggerti con continuità. Aspetto che tu venga a Roma per una mostra, un incontro, una presentazione.Leggerti è uno dei tanti regali postumi di Marilina che amava ogni cosa delle tue opere e che ti avrebbe seguita sul blog.
milvia, 12 marzo 2012