Ci piacciono i giardini. E i semi che a quei giardini, se ci credi e ne hai cura, ti conducono.
Sono giardini di storie. Quelle che troviamo ogni venerdì pomeriggio, quando ci incontriamo per leggere, nei libri. Ma giardini di storie sono anche le nostre vite, i nostri singoli destini che ogni venerdì, alla stessa ora, noi affacciamo su un cerchio dove sta al centro, un tavolo dipinto alcuni anni fa da noi stessi. Su quel tavolo poggiamo i libri, le cioccolate in inverno, la coca cola d’estate anche a se a me non piace. Da quel cerchio, da quel confine tu puoi vedere il nostro giardino. E alzandoti dalla sedia, entrarci dentro. A turno innaffiamo le piante che ci crescono, sono alberi sempre più alti e ombrosi, e a turno facciamo gli umili lavori che servono al giardino e a noi stessi. Leggere ad alta voce è la linfa che scorre in questo giardino. Liberiamo dalle voliere, senza che quelli facciano più ritorno, storie autori personaggi luoghi che girano ormai insieme a noi in questa città in cui facciamo crescere, pianopiano, come è d’obbligo per l’albero, una fraternità cucita con libri d’avventura.


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lunedì 14 febbraio 2011

un venerdì

Ecco, sono caduta. Davanti a tutti, mentre leggevo. Colpa di Muriel Barbery. Leggo ad alta voce da qualche incontro per il nostro piccolo gruppo dei lettori, condividiamo la lettura ad alta voce di romanzi che leggiamo a turno dall’inizio alla fine, L’eleganza del riccio. Me lo sono comprato due anni fa ma non l’avevo ancora letto, non mi aveva agganciato, e forse l’avrei pure lasciato stare dopo le prime dieci pagine anche questa volta, se non avessi preso l’impegno di leggerlo io. Catia mi aveva avvisato di recente: devi resistere un po’ di pagine all’inizio, si entra dopo. Già.
Già dalla volta scorsa mi avevano colto alcune immagini, rivelazioni, luci accese all’improvviso sulla nostra coscienza addormentata in questa modernità ricca di bagni di acqua calda e fredda di strade di aeroplani. Di tutto quello che non serve per trovare qualcosa che sta solo dentro di noi. Ecco perché si cade mentre si legge. Perché mentre cammini nella storia non vedi il gradino di verità che l’autore ha trovato per primo in se stesso e su cui lui, lei per prima, è caduta.
Temevo, senza averlo pensato mai lucidamente, il momento in cui qualcuno si sarebbe accorto del mio pianto mentre me ne sto intenta a leggere. Non c’è niente di più vergognoso che un pianto durante la lettura. Se piango mentre sono per strada ma in realtà sono in un mio dolore non mi importa allo stesso modo che qualcuno mi vede piangere; mentre leggo sì. Perché sembra sproporzionato. E invece è proporzionatissimo. A testa bassa sono rimasta in un silenzio impastato di lacrime, dopo essere inciampata nelle considerazioni sulla morte di suo marito espresse da Renèe, la portinaia del numero 7 di Rue de Grenelle. Non potevo, volevo guardare nessuno, ho solo raccolto con le orecchio il silenzio che mi circondava. Quando sono riuscita e guardarmi intorno ho capito che eravamo caduti tutti. Una complicità ci lega adesso, e la scoperta di uno scalino messo su da Muriel Barbery, all’insaputa di tutti.
a venerdì 
Teresa

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