Ci piacciono i giardini. E i semi che a quei giardini, se ci credi e ne hai cura, ti conducono.
Sono giardini di storie. Quelle che troviamo ogni venerdì pomeriggio, quando ci incontriamo per leggere, nei libri. Ma giardini di storie sono anche le nostre vite, i nostri singoli destini che ogni venerdì, alla stessa ora, noi affacciamo su un cerchio dove sta al centro, un tavolo dipinto alcuni anni fa da noi stessi. Su quel tavolo poggiamo i libri, le cioccolate in inverno, la coca cola d’estate anche a se a me non piace. Da quel cerchio, da quel confine tu puoi vedere il nostro giardino. E alzandoti dalla sedia, entrarci dentro. A turno innaffiamo le piante che ci crescono, sono alberi sempre più alti e ombrosi, e a turno facciamo gli umili lavori che servono al giardino e a noi stessi. Leggere ad alta voce è la linfa che scorre in questo giardino. Liberiamo dalle voliere, senza che quelli facciano più ritorno, storie autori personaggi luoghi che girano ormai insieme a noi in questa città in cui facciamo crescere, pianopiano, come è d’obbligo per l’albero, una fraternità cucita con libri d’avventura.


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sabato 13 settembre 2008

La lettura a voce alta

di Mauro Marino

“Giganteschi urlatori di senso, accorrete!
Venite a soffiare nei nostri libri!
Le nostre parole hanno bisogno di corpo!
I nostri libri hanno bisogno di vita!"


Ogni mattina, dal lunedì al venerdì, dalle 9.30 alle 10.00, il Terzo Anello, “tessuto connettivo” del palinsesto di Radio Tre, propone un interessante programma: la lettura “A voce alta”, di un classico della letteratura mondiale. Ad agosto è stato “Barry Lindon”, romanzo di William Makepeace Thackeray, diventato un meraviglioso film nel 1975, diretto da Stanley Kubrick. La vacanza mi ha permesso di ascoltarne alcune puntate e di rivivere l'emozione di quella visione consumata in solitario, in un Cinema Santalucia ancora non multisala.
Oggi c'è “Canne al vento”, capolavoro italiano, di Grazia Deledda. C'è stato il “Circolo Pickwik”, “Orgoglio e pregiudizio”, “La vita agra”, “Piccole donne”. Li potete trovare tutti in rete, raccolti in un archivio nel sito di Rai, radio tre.
Un occasione unica di ascolto, di conoscenza e di approfondimento. Le voci, quelle di attori, che prestano la loro passione e il loro mestiere alla scrittura. Rigo dopo rigo, svelano l'incanto narrativo. Danno il passo ai personaggi, ce li portano agli occhi con la loro voce. Che dono!
Umberto Tabarelli, che dedica un sito, in rete, alla lettura a voce alta scrive: “Un libro, è un amico cui si chiede, con cui si litiga o ci si confida. Ci possiamo innamorare di lui, riserbandogli ore esclusive, inquieti per l’ansia di tornare ad aprirlo. Niente lettura rapida, ma la calma emozionata con cui si pregusta un cibo, un vino, un incontro. E’ un comportamento che si impara e si raffina, dipende dal talento ma anche dall’arte, dall’esperienza. A scuola ci hanno detto che l’Orlando furioso, la Divina Commedia, i Canti leopardiani sono libri straordinari: molti di noi si sono accontentati dell’informazione, conservando un ricordo di fatica e di noia delle pagine che hanno “studiato”. Qualche volta, più maturi, si riprende un discorso troncato o mai iniziato; ma spesso gli strumenti di cui bene o male ci siamo impadroniti non sono sufficienti a farci provare il piacere di leggere, soprattutto i classici, i testi importanti. Possiamo imparare a provare quel piacere? Si. Con un po’ di fatica, soprattutto all’inizio. Ma ne vale la pena”.
“A voce alta”, allora!, fare dell'ascolto un'occasione per mettersi all'opera.
Provarsi nel dono, allenarsi. Tutti quanti abbiamo provato a narrare almeno una volta ci è capitato. Una fiaba, un fatto, qualcosa che ci ha visto diretti protagonisti, anche una barzelletta.
Che piacere, quando sentiamo di tenere “all'amo” l'attenzione dell'altro!
Pensate il recente successo di Dante letto da Roberto Benigni. Pensate al teatro di narrazione che esplode negli anni Novanta con la forza di un caso: la rappresentazione televisiva del Racconto del Vajont (1997) di Marco Paolini, con i suoi tre milioni di telespettatori, un’enormità per una trasmissione di nicchia. Un’importante occasione di innovazione teatrale. C'era stata prima Laura Curino con gli spettacoli sull'epopea della famiglia Olivetti. Marco Baliani nel 1998 raccontò il delitto Moro in “Corpo di Stato”. L'ultimo Ascanio Celestini, con l'incedere di un rap porta in scena le parole dei matti e i nostri Fabrizio Saccomanno e Mario Perrotta le tragedie e il ridere dei nostri migranti. Un teatro delle parole, della scrittura che lavora sul desiderio di mettersi li ad ascoltare. Di stare seduti di fronte ad uno che legge, che racconta. Come si faceva un tempo in una stalla!
Quasi che lo spettacolo, l'artificio sia di troppo, abbia stancato e, immaginare, figurarsi una scena, diventa qualcosa di unico, di personale, di intimo.
Un teatro che nutre i libri di suoni e si nutre di testimonianze, di oralità.
Roland Barthes scrive, alla voce 'Lettura' dell' 'Enciclopedia Einaudi', che “Sant'Agostino, in visita a Sant'Ambrogio, allora vescovo di Milano, si stupiva di vederlo leggere sempre in silenzio [...] In realtà, dai tempi antichi la lettura non si concepiva che ad alta voce, sia in pubblico sia in privato, sia che si incaricasse di leggere uno schiavo, sia che si provvedesse da soli. La lettura silenziosa si diffuse nei monasteri verso il VI secolo, al fine di far regnare e di rispettare il riposo degli altri [...]Il nostro modo corrente di lettura trova quindi origine nelle prime comunità monastiche, e la norma si è ribaltata dall'antichità: ad alta voce allora, a bassa voce - o senza voce? – oggi [...] Si è operata una sorta di disincarnazione della lettura, una riduzione della parte del corpo [...] essa non ha più un’esistenza carnale, è immediatamente spirituale. [...] Così è il modello cristiano di lettura, senza godimento, una lettura che non passa per il corpo [...] Per sbarazzarsi del mito cristiano della lettura, bisognerebbe cominciare a far passare il testo dalla strozza come faceva Flaubert, farlo risuonare, squillare nella testa, perseguire una lettura del significante, quella del godimento”.
Ci piace, per il momento chiudere questa riflessione, con Daniel Pennac che conferma la critica all' “incorporeità” della lettura ritornando a Flaubert: “Strana scomparsa, quella della lettura a voce alta. Non si ha più diritto di mettersi le parole in bocca prima di ficcarsele in testa? Niente più orecchie? Niente più musica? Niente più saliva? Parole senza più gusto? Forse che Flaubert non se l'è urlata fino a farsi scoppiare i timpani, la sua Bovary? Non è forse la persona in assoluto più adatta per sapere che l'intelligenza del testo passa attraverso il suono delle parole da cui scaturisce tutto il loro significato? E non è lui che più di ogni altro sa (...) che il significato si pronuncia? Cosa? Testi muti per puri spiriti? A me, Rabelais! A me, Flaubert! Dostoevskij! Kafka! Dickens, a me! Giganteschi urlatori di senso, accorrete! Venite a soffiare nei nostri libri! Le nostre parole hanno bisogno di corpo! I nostri libri hanno bisogno di vita!".

[nella foto: Cristina Mileti e Fabrizio Saccomanno in 'Via, epopea di una migrazione', una produzione dei CTKoreja]

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